Un forte balzo. L’operazione sulla liquidità a tre anni della scorsa settimana, da 489 miliardi, ha mostrato tutti ieri i suoi effetti nel “motore” della Bce: le dimensioni del suo bilancio hanno superato il 23 dicembre i 2.700 miliardi, portandosi a quota 2.733, contro i 2.493 miliardi del 16 dicembre.
Il salto è notevole. Ormai il bilancio della Fed, con i suoi 2.945 miliardi di dollari – 2.265 miliardi di euro – resta molto indietro. La differenza, però, è qualitativa. La Bce è infatti molto prudente: se a Washington nulla degli acquisti – a qualsiasi titolo – viene sterilizzato, a Francoforte, invece, si è deciso che una parte almeno della liquidità, quella creata con l’acquisto dei bond, venga bloccata nei forzieri “centrali”.
Quello che conta, allora, è la base monetaria, la moneta che le banche centrali – come comunemente si dice – “stampano”. Anche questa ha compiuto un balzo, a Francoforte: è passata da 1.395 a 1.568 miliardi. A Washington è pari a 2.638 miliardi di dollari, oltre 2mila miliardi di euro.
Anche in questo caso lo “stimolo” – anche se la parola è un po’ fuorviante – monetario della Bce è almeno paragonabile a quello della Fed. La base monetaria fornita da Francoforte è pari ormai al 17% del Pil di Eurolandia, quella di Washington al 17,8% circa del Pil americano. La distanza è minima. Alcuni economisti vicini all’approccio del “monetarismo di mercato” – Scott Sumner, Lars Christensen – indicano però nel 25% del Pil un valore di riferimento: è il livello raggiunto dalla (pur piccola e aperta) Svezia che, non a caso, è uscita più rapidamente dalla crisi di altri Paesi. Senza che la Riksbank rinunciasse al suo mandato di mantenere sotto controllo l’inflazione.
Senza sorprendere nessuno, l’annuncio dei dati ha coinciso con una flessione dell’euro, sceso sotto quota 1,30 dollari, e ai minimi da 10 anni sullo yen. L’aumento del bilancio Bce ha sicuramente un effetto espansivo. Resta però vivo il problema di trasformare questa base in moneta che gira davvero nell’economia. «Si può portare un cavallo all’acqua, ma se non vuol bere…», dicono gli americani. Ed è questo quello che accade, negli Stati Uniti e in Eurolandia, dove è diventato imponente il fenomeno dei depositi parcheggiati in banca centrale. La massa monetaria in circolazione, M1, è negli Usa persino inferiore alla base monetaria (2.149 miliardi di dollari, il 14,5% del Pil), anche se appare in accelerazione (+18%). In Eurolandia è molto più alta (4.770 miliardi di euro, il 51% del Pil) ma si muove a velocità rallentata (+1,7%) e risulta persino in leggero calo negli ultimi due mesi. La massa monetaria M2, intanto, è pari a 9.642 miliardi di dollari negli Usa (65% del Pil, +7,5%) e a 8.580 miliardi di euro nell’Unione (92%), dove è anch’essa in leggero calo mensile e in forte rallentamento da due anni almeno (+2,1%).
A questo si aggiunge il fatto che la distribuzione della moneta non sembra uniforme in Eurolandia e questo può creare qualche squilibrio di troppo. In Italia, per esempio, l’offerta di moneta è in calo, e da tempo: -2,2% annuo l’M1, -0,58% l’M2. Non è un buon segno.
Beh, tutto come previsto. Altri dubbi sulla fase di CONTRAZIONE che ci aspetta all porte, o meglio, che già inizia ad accompagnarci?